domenica 14 novembre 2010

In Bruges

Mi sono lasciata convincere dall'ambientazione, Bruges, una città che mi è rimasta nel cuore, e ho letto "Il quadrato della vendetta" di Pieter Aspe.
Cosa potrà mai succedere in una tranquilla cittadina del Belgio dove l'esperienza più forte che si possa fare è bere la Mort Subite, una birra che fa dodici gradi?
Cosa potrà inventarsi uno scrittore per tessere una trama criminale in un luogo così romantico che il sindaco ha proibito i cartelloni pubblicitari per non infastidire la contemplazione dei monumenti?
Ero curiosa di sapere se Aspe avrebbe cucito un merletto a mano o se mi avrebbe spacciato come "originale belga" una grossolana imitazione dei gialli americani. Devo dire che, purtroppo, è caduto sulla seconda ipotesi.
Il protagonista, il proprietario di una famosa gioielleria del centro, ha una moglie che lo tradisce da una vita con il migliore amico. Fin qui tutto regolare. Poi viene fuori che ha quattro figli di cui solo una "normale": il maschio è omosessuale, una è suora, un'altra è tossica. Ci sono una storia d'incesto e una di vendetta, che si consuma dopo cinquant'anni dal torto subito, e il vendicatore si diletta a comporre quadrati enigmistici in latino sul tipo di quelli dei cavalieri templari.
E pensare che io credevo che i criminali non avessero la laurea bensì il cappello alla pescatora e le unghie sporche di terra!
Poi ci sono un rapimento e una storia di sesso tra il capo delle indagini e il sostituto procuratore, una belloccia meglio di Miss Belgio.
Ma gli magistrati non erano brutti e cattivi? Come sono ingenua...
Cosa manca? Ah, la nuora che se la fa con il patriarca (quella che aveva accettato di sposare il figlio gay per nasconderne al mondo le tendenze) e un ragazzo che soffre di una malattia rara.
Credetemi, neanche Dan Brown avrebbe saputo fare di meglio con un'ambientazione così.
Povera Bruges! Ho paura di tornare a visitarti: magari lettori fanatici di romanzi pop-corn cercano tra le tue strade l'indirizzo esatto della gioielleria dove è iniziato il racconto per scattare una foto ricordo e deporre un fiorellino.

P.S. Ma Aspe, dovo aver utilizzato tutti questi spunti, di cos'altro potrebbe scrivere? Non gli rimane che la biografia di Berlusconi.

martedì 2 novembre 2010

Gnam gnam

Detto, fatto.
Ho appena finito di digerire "I magnagati" di Virgilio Scapin, vicentinissimo.
Si tratta di una raccolta di aneddoti divisa in tre parti: le abitudini culinarie dei vicentini; i luoghi dove tali abitudini possono trovare soddisfazione; il piatto-re, ovvero il baccalà. Non dimentichiamo che Scapin era Gran Priore della Confraternita del baccalà.
La raccolta non ha la poesia de "I mangiatori di civette" ma è altrettanto interessante perché ci riporta in un'epoca, quella tra le due guerre mondiali, in cui chi voleva mangiare doveva arrabattarsi ma anche chi faceva l'oste non se la passava tanto meglio.
Chi apriva un'osteria, spesso, all'inizio offriva solo da bere e doveva accettare che i clienti si portassero i piatti da casa (chi era fortunato viaggiava con una bistecca dentro il cappotto). Alcuni osti si facevano pagare a fine mese e chiudevano un occhio se il cliente "perdeva" il conto.
Poi, quando l'attività decollava, si potevano offrire piatti locali come i bigoli al ragù, il fagiano, la faraona, le trippe, gli spiedi di uccelli, catturati senza tante preoccupazioni ecologiche, e l'immancabile baccalà.
Chi si faceva un nome poteva vedersi riempire il locale da nobili facoltosi o da troupe televisive, come quella de Il comissario Pepe.
Scapin ci dà un elenco di una ventina di ristoranti da visitare per poter dire di essere dei veri vicentini, alcuni dei quali in paesi che non ho mai sentito nominare, tipo Secula e Valdimolino. Ci racconta come tali ristoranti siano nati, come si siano ampliati, grazie al lavoro instancabile e alla intraprendenza delle mogli dei proprietari, e, qualche volta, come siano morti per il mutare delle abitudini dei vicentini.
Prima che muoia anche il ricordo, lasciamoci cullare dalla prosa nostalgica di Virgilio Scapin.