mercoledì 29 luglio 2009

Colleghe

Questo è un esempio di collega (vittima) con la quale ho avuto a che fare a Tribolacco:
“Un giorno mi stancai. Dopo aver spiegato per l’ennesima volta in cosa consisteva il lavoro di mio marito, chiesi alla rossa che lavoro facesse il suo, di compagno.
Mi rispose, con finta noncuranza, che faceva il pittore.
Io capii subito dove NON voleva arrivare e, malignamente, esternai entusiasmo. Le chiesi se per caso esponeva da qualche parte: sarei andata volentieri a vedere i suoi quadri.
Lei si stupì e mi rispose che era un «vero artista», come se i veri artisti non esponessero.
Allora io insistei, perché a quel punto mi ero stufata di farmi prendere per i fondelli, finché non dovette ammettere che faceva l’imbianchino. Ma l’imbianchino artistico, però!”
Altro esempio di collega (infantile):
“La sua scrivania era soffocata da cumuli di carte, biro senza inchiostro, pupazzetti dall’origine ignota e foto del suo amato. Lei, in compenso, non ci stava quasi mai. Si era stancata di stare alla Mac.Si. e aveva dato il preavviso di licenziamento da più di tre mesi. Avrebbe potuto andarsene quando voleva ma il responsabile del personale, che non si decideva a trovarle una sostituta, le aveva chiesto di rimanere. Stefania aveva acconsentito, anche perché i permessi per aprire un’attività in proprio non le erano ancora stati concessi. Ma si annoiava. Dopo otto anni nello stesso ufficio non riusciva più a stare ferma. Faceva il tour delle macchine del caffé per raccontare barzellette. Con la scusa di aiutare questo e quello, girava per tutta l’azienda a riproporre le sfide danzanti di Amici. Un giorno, durante la pausa pranzo, dovette fiondarsi a comprare un paio di pantaloni nuovi: quelli che aveva indossato al mattino li aveva strappati, con una delle sue spericolate imitazioni, nel solco epigonale”.

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