giovedì 30 luglio 2009

Omaggio ad Asimov

A furia d’incontrare gente così, ho cominciato a sentirmi strana.
“All’epoca mi sembrava tutto fuori dell’ordinario, bizzarro. Sentivo qualcosa di stonato. Vivevo e avevo la sensazione di essere un cervello positronico in mezzo a tanti terrestri. Ero stata programmata per la luna e mi ritrovavo nel piovoso emisfero chiamato Friûl. Per adattarsi, i miei circuiti facevano uno sforzo immane ma ottenevano risultati insoddisfacenti. M’imponevo di sottostare alle regole del luogo e allo stesso tempo di preservare la mia incolumità: impossibile. Forse è stata proprio questa contraddizione a condurmi alla rovina…”

mercoledì 29 luglio 2009

Colleghe

Questo è un esempio di collega (vittima) con la quale ho avuto a che fare a Tribolacco:
“Un giorno mi stancai. Dopo aver spiegato per l’ennesima volta in cosa consisteva il lavoro di mio marito, chiesi alla rossa che lavoro facesse il suo, di compagno.
Mi rispose, con finta noncuranza, che faceva il pittore.
Io capii subito dove NON voleva arrivare e, malignamente, esternai entusiasmo. Le chiesi se per caso esponeva da qualche parte: sarei andata volentieri a vedere i suoi quadri.
Lei si stupì e mi rispose che era un «vero artista», come se i veri artisti non esponessero.
Allora io insistei, perché a quel punto mi ero stufata di farmi prendere per i fondelli, finché non dovette ammettere che faceva l’imbianchino. Ma l’imbianchino artistico, però!”
Altro esempio di collega (infantile):
“La sua scrivania era soffocata da cumuli di carte, biro senza inchiostro, pupazzetti dall’origine ignota e foto del suo amato. Lei, in compenso, non ci stava quasi mai. Si era stancata di stare alla Mac.Si. e aveva dato il preavviso di licenziamento da più di tre mesi. Avrebbe potuto andarsene quando voleva ma il responsabile del personale, che non si decideva a trovarle una sostituta, le aveva chiesto di rimanere. Stefania aveva acconsentito, anche perché i permessi per aprire un’attività in proprio non le erano ancora stati concessi. Ma si annoiava. Dopo otto anni nello stesso ufficio non riusciva più a stare ferma. Faceva il tour delle macchine del caffé per raccontare barzellette. Con la scusa di aiutare questo e quello, girava per tutta l’azienda a riproporre le sfide danzanti di Amici. Un giorno, durante la pausa pranzo, dovette fiondarsi a comprare un paio di pantaloni nuovi: quelli che aveva indossato al mattino li aveva strappati, con una delle sue spericolate imitazioni, nel solco epigonale”.

martedì 28 luglio 2009

Testamento Tribolacco

Come scrive Pascal Brukner nel suo trattato “La tentazione dell’innocenza”, a seguito della decadenza, nella cultura occidentale, del potere della religione, l’uomo si è ritrovato solo e monarca di se stesso. L’incapacità di gestire la nuova libertà l’ha condotto ad assumere due atteggiamenti: l’infantilismo e il vittimismo.
Io mi sento vittima.
Nel mio primo romanzo, “Testamento Tribolacco”, descrivo con ironia, spesso amara, i torti che ritengo di aver subito durante la permanenza in Friuli, in uno sperduto paese che io chiamo Tribolacco in onore di Tribulina, località vicino Bergamo nella quale ho vissuto dai tre ai sei anni. Nonostante una laurea in lingue, non sono riuscita a imparare il friulano come avevo fatto con il bergamasco (cosa per la quale sono stata presa in giro per tutte le elementari). In compenso ho appreso cosa significa essere “esule della felicità” e ho deciso di raccontare le mie esperienze affinché altre giovani sposine non cadano nelle stesse illusioni.