giovedì 30 dicembre 2010

Di nuovo fantascienza

Ci sono ricaduta, questa volta per colpa di Robert Silverberg, scrittore americano molto prolifico. Il romanzo che ho letto, "Shradrach nella fornace", è stato scritto nel periodo maturo dell'autore, vent'anni dopo che gli fu assegnato il premio Hugo.
Il protagonista è un medico al servizio del Dittatore che si trova a voler rispettare il giuramento d'Ippocrate, da una parte, e a cercare di limitare il poteri del vecchio e paranoico capo, dall'altra.
Sullo sfondo è presente la degenerazione organica, un virus che conduce l'umanità allo sfacelo ma che potrebbe essere debellato. Tuttavia viene trascurato dal dittatore perché funzioni come leva di obbedienza: solo pochi burocrati ricevono il vaccino, agli altri non rimane che sperare e intanto morire.
I temi sono interessanti; purtroppo il testo è scritto al tempo presente, le frasi sono semplici e i dialoghi elementari, come se Silverberg avesse qualche titubanza a concordare il contenuto con la forma.
Ci sono inoltre molte parentesi che rallentano inutilemente il ritmo - altro che novelas intercaladas di Cervantes! - e non aggiungono niente alla trama.
Se non altro il finale è lontano dall'essere banale. Il medico decide di rimanere accanto al dittatore, sebbene rischi la vita, anzi, trova un modo per renderlo innocuo. Il trucco non è così semplice, la storia recente lo dimostra. I dittatori non si fanno detronizzare né si accontentano del senato a vita...
Lo consiglio a chi vuole riflettere sui meccanismi del potere e sulle reazioni dei cosidetti onesti ai suoi soprusi.
Due stelle e mezza.

martedì 21 dicembre 2010

Pazzo canadese

Un amico mi regala "La versione di Barney" di Mordecai Richler, un ebreo canadese. Mai sentito nominare. Inizio a leggerlo con riluttanza: saranno le solite quattrocento pagine di finta biografia, in realtà di auto-elegia, dove non succede niente ma quel niente è ben raccontato. Infatti all'inizio il protagonista, sebbene privo di qualsiasi talento, s'intrufola in un gruppo di artisti canadesi trasferitisi a Parigi e si lascia incastrare da una di loro, una disegnatrice di chine pornografiche.
Poi si scopre che: il protagonista, Barney Panofsky, forse è un assassino; la prima moglie aspettava un figlio da un altro; la terza moglie è stato l'unico amore della sua vita; lui contrabbandava antichità egizie; che seconda moglie era una ricca borghese viziata; la prima una ninfomane; lui un alcolizzato e così via. Non necessariamente in questo ordine.
Il tutto condito da un'ironia che non risparmia niente e nessuno. Panofsky vuole raccontare la sua verità e questa, come si sa, fa male, persino ai morti. Sulla tomba di suo padre, dopo aver vuotato una bottiglia di whisky di marca, depone "anziché il solito sassolino, un tramezzino con la carne affumicata e un cetriolo sottaceto". I sassolini che si toglierà dalle scarpe saranno altri.
C'è di che divertirsi leggendo questo romanzo. Il protagonista è fuori di testa, e in parte deve esserlo stato anche l'autore. Provo un po' d'invidia: conducendo una vita tranquilla non si può sperare di diventare un bravo scrittore, tantomeno che il proprio romanzo diventi la sceneggiatura di un film in uscita il prossimo gennaio con, guarda caso, uno dei miei attori preferiti, Paul Giamatti.
Si scopre se Barney è veramente un assassino solo all'ultima riga dell'ultima pagina e ci si domanda: "Come ho fatto a non capirlo?!"
Insomma è un polpettone all'apparenza e nello stile, frammentario e caotico, ma non nella sostanza. E' come un buon Ruben (il tramezzino già citato). Traboccante di carne di manzo affumicata, che sembra che potrà esplodere da un momento all'altro, ma gustoso e indimenticabile.

mercoledì 8 dicembre 2010

Fame, amore e...

"Il prete bello" di Goffredo Parise potrebbe intitolarsi anche "Dei sospiri e delle fantasie". Il romanzo si ambienta a Vicenza negli anni 1938-40 e ha come protagonista un gruppo di zitelle, di diversi ceti sociali, che abitano nello stesso palazzo del centro storico e sono accomunate dall'infatuazione per il parroco.
Egli non è il protagonista, nonostante il titolo, e non fa nulla per meritarsi tante attenzioni ma, ahimè, la sua prestanza, il suo coraggio durante la Guerra di Spagna, le sue attitudini letterarie nonchè una certa propensione alla mondanità ne fanno il bersaglio di una devozione generale.
I colpi bassi che si riservano le zitelle pur di mettere fuori gioco le concorrenti e attirare la di lui benevolenza sono ben più gravi della fame, del freddo e della minaccia di una guerra mondiale.
Il narratore, un ragazzino indigente che abita in mezzo a loro, le descrive con ironia ma anche con benevolenza, un po' alla Manzoni. Approfitta della loro debolezza e allo stesso tempo le compatisce: come si fa a non innamorarsi di don Gastone, di quegli occhioni, di quella Fede e Ardimento?
Nessuna delle zitelle otterrà l'agognata ricompensa, che andrà a finire tra le sgrinfie di una pecorella smarrita: la felicità non appartiene a questo mondo e, per quanto ci diamo da fare, per guanto sgomitiamo, alla fine non ci rimane altro che asciugarci le lacrime.
Favola morale sulla vanità dei desideri. Da leggere per non dimenticare da dove veniamo e dove andremo a finire tutti quanti.