lunedì 4 luglio 2011

Due gioiellini

L'ultimo numero di Urania Collezione contiene due romanzi di James White, nord-irlandese: "Vita con gli automi" e "Partenza da zero".
Che differenza con l'ultimo polpettone di fantascienza letto! (vedi tre o quattro post fa).
Nel primo si narra la vita, o meglio, le pause tra un'ibernazione e l'altra, dell'unico uomo sopravvissuto su tutta la Terra a un paio di guerre nucleari. Nonostante il racconto sia conciso, appena centotrenta pagine, la descrizione della sua angoscia esistenziale e dei suoi tentativi per trovare altri superstiti è toccante, come è toccante l'evoluzione del suo rapporto con l'automa-infermiera che ha in carico la sua salute. Tra un risveglio e l'altro passano i secoli. I robot che sono sovravvissuti alla catastrofe nucleare hanno il compito di servire l'ultimo uomo rimasto e, seguendo le sue istruzioni, si moltiplicano (recuperando tutto il metallo possibile) e cominciano a bonificare l'ambiente. Piantano persino dei semi d'erba, unici vegetali ancora in vita, e, con immensi sforzi e dopo un tempo lunghissimo, riescono a ridare alla Terra un aspetto quasi adatto alla vita: cielo limpido, acque azzurre - anche se sterili - campi d'erba su cinque continenti. Purtroppo la fine del sole si avvicina... tutti questi sforzi per tornare alla vita saranno stati inutili? Bello, bello, bello!
Altre riflessioni sugli effetti devastanti delle guerre si trovano in "Partenza da zero", ambientato in un rigoglioso pianeta-prigionia dove alcune centinaia di ufficiali, uomini e donne, abbandonati a se stessi, devono decidere se dimenticare il proprio passato militare e farsi una nuova vita, una famiglia, o se devono tentare il tutto per tutto e fuggire. Anche se hanno a disposizione attrezzi rudimentali e una carenza preoccupante di materie prime adatte a forgiare armi e tute pressurizzate.
Altro romanzo breve che si fa leggere d'un fiato. Anzi, alla fine ero talmente coinvolta che non volevo leggere le ultime pagine per paura che finisse male, cioè che la fuga non riuscisse, anche se in realtà l'autore lascia intendere che l'unico happy end possibile non è quello dei militari che tornano in servizio ma quello dei disertori che abbandonano i fucili e si danno all'agricoltura. Infatti il romanzo non ha vinto nessun premio Hugo o Nebula. Va bene la fantascienza più sfrenata ma il peccato ideologico contro la guerra no!

martedì 28 giugno 2011

Solo buoni romanzi

Immaginiamo per un attimo che in una libreria non ci siano né saggi né biografie, né libri di divulgazione scientifica né volumi per ragazzi, raccolte di fotografie o manuali di sopravvivenza tra vicini di casa. Non ci sarebbero nemmeno i best sellers che vendono milioni di copie (puro intrattenimento) né i romanzi che entrano a far parte delle cinquine dei premi letterari (puro fumo negli occhi). Cosa rimarrebbe? chiedete voi. I romanzi, o meglio, i buoni romanzi.
Laurence Cossé, ne “La libreria del buon romanzo”, ha immaginato questo scenario. Due visionari, un libraio dal breve curriculum e una donna della buona società in possesso di un discreto capitale, decidono di diventare soci e di aprire a Parigi la libreria dei loro sogni. Per far ciò, chiedono aiuto a otto “grandi lettori”, i quali devono compilare una lista di seicento romanzi ciascuno che andranno a rifornire gli scaffali della libreria. Unico requisito: la qualità.
Gulp! Seicento buoni romanzi. Non è un’impresa da poco. Ho fatto un rapido conto… non mi prenderebbero mai come grande lettrice. Anche se avessi letto seicento libri, cosa che non ho fatto, purtroppo, tra questi mi sentirei di consigliarne non più del venti per cento. Che tristezza. Cosa volete farci? Mi sono immedesimata… A parte le cinquanta pagine un po’ tecniche sull’apertura della libreria, il resto della storia è coinvolgente, soprattutto nella seconda parte, nella quale i due novelli impresari vengono minacciati e gli stessi grandi lettori, sebbene siano rimasti anonimi, subiscono degli strani incidenti.
Alcuni autori, esclusi dal catalogo della libreria elitaria, se la sono presa e hanno cominciato, sui quotidiani, una campagna denigratoria. Chi sono costoro che si eleggono a paladini della qualità letteraria? Che titoli hanno per fare una cernita? La violenza che si può celare dietro un autore frustrato è davvero notevole. Siete avvisati.
Il finale è amaro. Forse, nella nostra società dominata dall’apparire, anche in campo culturale, non c’è spazio per scelte di sostanza.
“La libreria del buon romanzo” è adatta a chi adora leggere bene ma è un po’ masochista.

giovedì 23 giugno 2011

Aria di vacanza

“Un assistente di viaggi… mi raccontava che un cliente, giorni fa, doveva andare da Milano a Roma e pretendeva di prenotare l’Enterprise. Dopo un lungo negoziato, si è scoperto che voleva dire Intercity”.
“Ci sono i «bustinomani» - nulla di illegale, sia chiaro – che amano mettere il biglietto (aereo) in una bustina trasparente, che va dentro una busta di carta, che sta dentro una busta di pelle”.
“La cintura del sedile posteriore, poi, viene considerata una cosa eccentrica, oppure ignorata. Mi è accaduto di salire nell’auto di un amico (padre di tre figli), e di allacciarmela. Quando ha sentito lo scatto, si è girato e mi ha chiesto: «Dove l’hai trovata?»”
Questi sono alcuni passaggi del “Manuale dell’imperfetto viaggiatore” di Beppe Severgnini pubblicato nel 2000.
Il saggio indaga il comportamento dell’italiano medio dall’agenzia di viaggi al ritorno a casa, passando per il tragitto (in auto, in camper, in aereo, in nave…), il soggiorno vacanziero vero e proprio, gli imprevisti (dimenticanze varie, vestiti sbagliati, fregature al momento di acquistare gli immancabili souvenir ecc.), le bravate, il rapporto con i cibi esotici, l’ostentazione del cellulare, la difficoltà di calcolare una mancia dignitosa, il comportamento con gli altri italiani incontrati in vacanza, le visite a musei, le foto ricordo. Tutto, insomma. O quasi. Mancano solo un accenno a quelli che si presentano al check-in dell’aeroporto in infradito e la constatazione che i bambini, in vacanza, si ammalano delle patologie più rare rovinando immancabilmente l’unica settimana di “riposo” dei genitori.
Per il resto è un quadretto veritiero e simpatico dei vacanzieri italiani fatto da uno che è stato parecchio all’estero e quindi ha potuto confrontare le manie dei compatrioti con quelle degli americani, soprattutto. Non è l’unico saggio scritto da Severgnini sull’argomento: essendo di stretta attualità e cambiando le abitudini in fretta (a seguito del progresso tecnologico), il comportamento varia di conseguenza e va tenuto costantemente monitorato. Se vi capita di trovarne uno per casa (“Italiani con la valigia” ma anche “Un italiano in America” o “Italiani si diventa”) portatevelo in spiaggia e leggetelo. Non sia mai che smettiate di rompere al vicino di ombrellone con i vostri racconti intimi o di vantarvi di quanto poco avete speso per comprare quella borsa finta di Hermes da regalare a vostra cognata facendola passare per originale…
Di originale, nelle vacanze degli italiani, c’è solo la commedia umana di cui si sentono gli splendidi protagonisti.
P.S. Caro Beppe, anch’io ho giocato a ping-pong a Guadalupa! Ma non sotto una tettoia, anzi, in pieno sole e alle due del pomeriggio, dopo aver mangiato salsiccia di colombo e mousse al cocco. Ero in viaggio di nozze e ho vomitato per due giorni.

martedì 21 giugno 2011

Avventura incompleta

Per il centenario dalla sua morte, ho deciso di leggere un romanzo di Emilio Salgari, partendo non dal primo del ciclo indo-malese, "I misteri della giungla nera", bensì dal secondo, che avevo a casa: "Le due tigri".
Una tigre, quella di Momprecen, è Sandokan ovviamente; quella indiana è un certo Suyodhana, capo dei Thugs, adoratori della dea Kalì nonché feroci assassini, i quali hanno rapito la figlioletta di un amico di Sandokan per farne una vergine sacerdotessa della dea.
I nostri eroi, Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, padre della rapita, dopo essere scampati a un paio d'imboscate a Calcutta, s'inoltrano in una paludosa foresta per raggiungere il covo segreto dei Thugs ma, invece di raggiungerlo subito, fingono di essere dei cacciatori per sviare i sospetti di eventuali sentinelle.
La caccia alla tigre (tigri che cacciano tigri! sembra uno scioglilingua) è un pretesto per descrivere la giungla. Impenetrabile, insalubre, disabitata da umani ma generosa di piante velenose e animali in agguato. Sarebbe uno scenario romantico se Salgari non utilizzasse un tono didattico, alla "adesso ti spiego io che animale è e perché si comporta così", rovinando la narrazione. Ho capito perché è definito un autore per ragazzi.
Questa, comunque, non sarebbe la pecca maggiore se egli non si dimenticasse di terminare il libro, dicendoci se i pirati di Mompracen riescono a trovare il covo dei Thugs e a strappare loro la piccola sacerdotessa. Manca la battaglia finale! Che avventura è? Chi se ne frega se riescono ad abbattere un rinoceronte e ammazzare due tigri mangia-uomini... io voglio la battaglia tra il bene e il male! E non di dover leggere il prossimo romanzo per sapere come va a finire.
Infatti "Le due tigri" è breve, un romanzetto. L'autore sottovaluta la capacità di lettura degli adolescenti. Ai giorni nostri si sorbiscono anche mille pagine di Harry Potter. Forse ai suoi tempi erano meno abituati alla lettura? Non credo.
Insomma, sarà stato un autore celebrato nel Novecento (fino alla serie televisiva degli anni settanta con Kabir Bedi che ho visto persino io) ma attualmente è fuori mercato. La giungla non ha più il fascino di una volta.

martedì 7 giugno 2011

Fantapizza

Sarà pure l’autrice che ha vinto più premi in assoluto, anche rispetto ai suoi colleghi maschi, ma la Connie Willis de “L’anno del contagio” mi ha deluso parecchio. E non conta il fatto che mi sembrava di conoscere già la storia dato che Crichton con “Timeline”, da cui hanno tratto un filmetto, l’ha copiata di brutto. Ci sono gli stessi elementi: archeologi che stanno scavando un sito medioevale e scoprono la tomba di un cavaliere; un laboratorio di ricerca che ha messo a punto una macchina del tempo; giovani studenti che decidono di tornare in un passato remoto, possibilmente in concomitanza di guerre sanguinose e contagi pestilenziali; poco tempo a disposizione per tornare al futuro e persino i dettagli come il traduttore simultaneo. Ah, Crichton! Perché sei tu, Crichton?
In ogni caso anche l’originale della Willis non è che sia un capolavoro. Ripetizioni continue, personaggi mono-maniacali e chiusi in se stessi (mi rifiuto di pensare che l’umanità sia così!), un tecnico con la febbre che ci mette 300 pagine per riuscire a confessare che ha fatto una cavolata. La traduzione italiana è lunga 570 pagine e francamente almeno 200 sono in più. Non mi dispiace leggere romanzi lunghi ma devono avere un motivo d’essere. Non vorrei fare la generalista ma mi sembra che la prolissità sia un problema soprattutto degli americani. Questo non vuol dire che smetterò di leggerli però da una scrittrice pluripremiata (10 Hugo e 7 Nebula) ci si può aspettare più concisione, tanto non deve dimostrare niente a nessuno. O no?
A onor del vero si è ben documentata sulla peste. Le descrizioni sui suoi effetti sono davvero realistiche e spaventose. Chi si lamenta per un raffreddore non è il caso che si cimenti in letture del genere, potrebbe lasciarci le penne dallo spavento!

domenica 29 maggio 2011

Il figlio del faraone

Se si eccettua la saga di Jack Aubrey scritta da O'Brian di cui leggo un libro all'anno, di solito non amo i romanzi storici. Però ho una passione per l'antico Egitto nata ai tempi della scoperta de "L'archeologo" di Phillips perciò mi sono detta: perché no? e mi sono buttata su "Il figlio della luce", primo di cinque romanzi che narrano la vita di Ramses II. L'autore è un francese di nome Christian Jacq, molto prolifico fin da giovane (è nato nel 1947) ma diventato famoso sulla scena internazionale solo grazie a questo libro, pubblicato nel 1995.
"Il figlio della luce" s'incentra sulla giovinezza di Ramses che, essendo il secondogenito, non avrebbe dovuto succedere al padre. Suo fratello Shenar, tuttavia, non si dimostra all'altezza del compito così il cadetto viene introdotto per tappe, dal severo e misterioso padre Sethi, ai segreti del buon governo.
Lo stile è asciutto, privo di fronzoli, ieratico come la realtà che vuole descrivere.
La narrazione procede per episodi distinti, dei quadri slegati tra loro tanto che sembra che le antiche tavole conservate al museo egizio di Torino prendano improvvisamente vita. Nonostante ciò la lettura procede spedita, anzi, speditissima, tutt'altro che banale. L'autore non spiega come si viveva nell'antico Egitto ma lo narra, senza compiacimenti o stucchevoli descrizioni.
La giovinezza di Ramses è frenetica, costellata da dure prove che lo porteranno a diventare un uomo. Non è solo questione di destino ma anche di volontà: il giovane si rifiuta di condurre una vita agiata e affronta il pericolo senza remore. Che bello! Sembra quasi un romanzo di fantascienza e non storico.
Non mancano divertenti scene con altri protagonisti della storia: Mosè, Elena e Menelao, Omero, tanto per citarne alcuni.
Un applauso all'autore. Non lo innalzerei a divinità ma di sicuro è un sacerdote della scrittura.

mercoledì 11 maggio 2011

Lo zingaro di Maria

E’ difficile riassumere “Come la Madonna arrivò sulla Luna”, che si svolge tra il 1957 e il 1989 in Trasmontania, immaginaria repubblica baltica, dello scrittore tedesco Rolf Bauerdick.
Dentro vi sono: storia, con annesso revisionismo politico; religione; la questione degli zingari; un paio di delitti; un romanzo di formazione; un amore durato trent’anni e tanto divertimento.
Il romanzo offre mille spunti di riflessione ma l’autore riesce sempre a tenere presente da dove ha iniziato e dove vuole andare a finire, e i piccoli flashforward che inserisce qua e là non danno fastidio, anzi, invogliano a proseguire nella lettura delle 470 pagine.
Vale la pena di leggerlo per immergersi nell’atmosfera della Guerra Fredda, dei suoi proclami, dei suoi metodi spicci, delle minacce e dello stato d’insicurezza nel quale ha attanagliato il mondo per anni. E’ meglio non dimenticare.
L’aspetto più interessante, comunque, è costituito dall’intransigente fede mariana con la quale due dei protagonisti interpretano gli eventi mondiali che accadono durante la loro vita, compreso il primo allunaggio degli Americani, dando luogo a una sequela di equivoci esilaranti e di situazioni paradossali che il lettore farà fatica a dimenticare. Mitico l’episodio del telescopio (chi mi conosce sa che mio marito ne possiede uno costato un occhio della testa ma che giace inutilizzato… il telescopio, intendo, e si ricorderà senz’altro del brano di Testamento Tribolacco nel quale parlo di questi aggeggi infernali).
Ho scelto il libro per caso, senza averne letto alcuna recensione, e ne sono rimasta piacevolmente impressionata. ****

lunedì 18 aprile 2011

Immaginazione

“Le vie dell’immaginazione” di Hella Haasse, scrittrice olandese, è un romanzo strano, che vorrebbe essere un giallo ma non lo è, anzi, risulta molto più riuscito come parodia del genere giallo; è coinvolgente senza voler essere accattivante a tutti i costi; è emozionante senza strizzare l’occhio al lettore. E’ un fiore, un profumatissimo tulipano sbocciato nel giardino della nostra immaginazione.
La protagonista è una coppia di giornalisti sposata da una decina d’anni: lei ha rinunciato alla carriera per accudire la prole, lui si trova a dover abbandonare la linea editoriale della rivista presso cui lavora, colta e raffinata, per assecondare i gusti commerciali del nuovo proprietario. Tra i suoi nuovi compiti c’è quello di scrivere la bozza di un romanzo giallo, il cui finale sarebbe a cura dei lettori della rivista. Ma il protagonista è un appassionato di misteri veri e non uno scrittore dell’ennesimo giallo “whodunit”. Lui è sulle tracce di un poeta, dotatissimo ma ancora sconosciuto, nelle cui liriche si è imbattuto per caso, e non ha nessuna intenzione di andare a Mentone, tralasciando le sue ricerche sul più bello, per un mese intero, per accontentare il capo che lo spinge a prendersi una vacanza durante la quale trovare l’ispirazione. Tuttavia non ha parlato a nessuno di questa sua ricerca, nemmeno alla moglie, perché non gli venga soffiata la paternità della scoperta sensazionale, così è costretto a partire, famiglia al seguito. E’ dura abbandonare i propri sogni e infatti se ne pente subito: fa un incidente con la macchina che gli è stata prestata, di notte e sotto un diluvio biblico; è costretto a far accettare l’aiuto di un camionista a moglie e figli se non vuole che passino la notte in un autogrill; una volta arrivati a destinazione, la proprietaria della villa in cui sono ospiti non c’è e il suo maggiordomo risulta essere un individuo inquietante. Come se non bastasse, la trama del romanzo giallo non gli viene mentre la moglie, a riposo da tanto tempo, ritrova la vena e si mette a scrivere prolificamente su un quadernetto. Dove troverà l’ispirazione? Nell’aria di mare di Mentone? E perché il maggiordomo continua a spiarli e a proibire ai bambini che giochino in alcune zone del parco della villa? I sospetti che a poco a poco si fanno largo su di lui sono solo giochi della fantasia o brandelli di realtà?
Ho detto già troppo. Vale la pena di leggerlo ma non aspettatevi un finale risolutivo. La vita non è mai né bianca né nera, figuriamoci la finzione!

P.S. Sarà che l’autrice è femmina ma in questo libro gli svolazzi di fantasia sono una competenza virile mentre la vera arte è donna. Non me ne vogliano i maschietti…

martedì 29 marzo 2011

Di nuovo in pista

Rieccomi. Sono tornata - quasi – alla normalità: assenza di lavoro, tempo per leggere, calma per scrivere e, a volte, pulizie di casa. L’unica differenza è che non sono sola, aspetto una bimba, quindi ho molta più fame e sonno di prima. Ma non preoccupatevi, non cambierò i miei mascolini gusti letterari per tuffarmi in effluvi di melassa e ve lo dimostrerò.
Intanto comincio col commentare “Cauldron, fornace di stelle” di Jack McDevitt, uscito da poco su Urania.
Fantascienza, s’intende. Non ha una copertina memorabile (scusate, non ce l’ho fatta a non inviare una frecciatina ai lettori accaniti di SF che si stanno accapigliando per indovinare il numero cento di Urania Collezione) ma è una lettura piacevole.
McDevitt avrà fatto numerosi lavori prima di affermarsi come scrittore, il che lascia ben sperare anche me, tuttavia si vede che questo romanzo non è il suo primo esperimento. E’ equilibrato, scorrevole, crea la giusta dose di aspettativa. Soprattutto è terribilmente attuale. La Terra, dopo aver assistito a una gloriosa fase di viaggi nello spazio, si è ripiegata su se stessa e ha tagliato i fondi alla ricerca. Alcuni sognatori pensano di poter rilanciare la corsa allo spazio ma si trovano a dover organizzare collette per la raccolta di fondi sempre più tristi, sempre meno frequentate. A parte i problemi contingenti, sovrappopolazione, cattiva distribuzione delle risorse, necessità di trovare fonti di energia alternative, c’è un’incognita che spaventa più di tutte: perché nello spazio si aggirano delle sonde aliene capaci di annientare ogni forma di tecnologia che incontrano?
L’uomo non è il solo abitante tecnologico dell’universo, s’intende, ma è forse il più pavido. Meglio restarsene nella propria confortevole caverna che cercare di risolvere i grandi dilemmi che costellano il circondato. Chi può salvare l’umanità da se stessa?
McDevitt punta su una donna, un’ex-pilota di astronavi che ha lasciato il lavoro per badare ai figli, e un agente immobiliare scontento del suo monotono quotidiano (anche perché c’è la crisi del mattone).
I due, accompagnati dall’immancabile scienziato, da un vecchio e da un giornalista (!), partono per il nucleo della galassia scommettendo su un nuovo sistema di propulsione e con ben due astronavi. Ecco. Fino a qui andava tutto bene ma immaginarsi un viaggio di settimane su un’astronave semideserta (pardon , non tengo conto del computer di bordo), senza uno straccio di tecnico che possa risolvere eventuali guasti!
L’atmosfera sull’astronave è claustrofobica ma non per merito dell’autore. Sinceramente due cani e un gatto non avrebbero saputo far di meglio per passare il tempo.
Vabbé. Lo scrittore aveva da poco vinto un Nebula, al decimo tentativo, lasciamolo rilassarsi.
La prossima volta vogliamo più personaggi, però, e magari qualcuno del settore. Mi sentirei più tranquilla se a salvarmi da un’entità aliena fosse uno con la laurea in astrofisica, sennò i nostri cervelli cosa studiano a fare?
***

martedì 8 marzo 2011

Chiusura momentanea

Per pressanti impegni lavorativi e personali, il blog rimarrà chiuso per un mesetto.
Spero di tornare più in forma che mai!

P.S. Che sofferenza non aver tempo di leggere. E' come togliere l'alcol a una donna incinta.

sabato 22 gennaio 2011

Piacevole lettura

Dopo aver letto "Ragione e sentimento" e "Orgoglio e pregiudizio" tanti anni fa, ho deciso di riprendere in mano un classico ottocentesco e di gustarmi "Persuasione".
Il primo commento che sorge spontaneo è "Cavolo! E' stato finito nel 1816 eppure non sembra un romanzo bicentenario". La lingua è elegante ma non troppo arzigogolata da apparire obsoleta; il ritmo è tranquillo ma mai così lento da far desiderare un'accelerazione; la storia è delicata, sentimentale, ma non melensa: penso che anche un maschietto potrebbe avventurarsi in una lettura simile.
E poi diciamolo. Per ambientarsi nell'alta società inglese di campagna, si tratta di un libro estremamente sovversivo. I personaggi e le loro (fatue) abitudini sono descritti con una leggera ma costante ironia, che non ha pietà per nessuno: né per i poveri anziani che sono ligi all'etichetta e baciano le pagine dei libri della nobiltà dove sono menzionati gli avi, né le giovani figlie che, attraverso dei matrimoni oculati, tentano di mantenere il decoro della famiglia.
Tenendo conto che una volta era soltanto la nobiltà ad avere accesso alla cultura e alla lettura, mi sembra strano che la giovane Jane non sia stata perseguita a causa delle sue idee liberali. Seguire l'amore piuttosto che contrarre un matrimonio d'interesse. Che sventatezza! Opporsi alla volontà dei genitori per seguire la propria vocazione. Che vanesio proposito!
La Austen è attualissima, non solo perché parla di sentimenti ma anche perché utilizza il registro giusto, quello del distacco nei confronti dei suoi personaggi. Tanto da vedere le loro vite con obbiettività e giudicare le loro azioni con la giusta dose d'imparzialità.
Se non ci si lascia sedurre unicamente dalla trama, si noteranno tanti piccoli dettagli ambientali molto piacevoli. Forse la sua produzione va affrontata da giovani come esempio di letteratura classica e poi, da grandi, come puro divertimento. Chissà se, quando la riprenderò in mano tra qualche anno (mi mancano altri tre romanzi), non noterò di più l'intento moralizzatore.
La Austen va assolutamente letta, prima o poi. Fa parte delle esperienze della vita che bisogna dire di aver fatto.

domenica 16 gennaio 2011

Indignazione

La notizia non è freschissima ma d'altronde questo non è un blog di attualità, e su certe cose non riesco proprio a stare zitta.
Ho buttato l'occhio sul primo numero di quest'anno di Vanity Fair e ho trovato un trafiletto di Pino Corrias (non voglio neanche sapere chi è) che commenta la mancata estradizione dal Brasile di Cesare Battisti. E' ovvio che sia andata così: se è Berlusconi a chiedere giustizia, lui che ha numerosi processi in corso a suo carico, lui che non è credibile nel paese che governa, figuriamoci all'estero... Ma che cosa c'entra? Innanzitutto non è il capo del governo a chiedere giustizia ma un paese intero, e soprattutto i famigliari delle vittime. E poi, scusate, come osa questo Corrias paragonare eventuali colpe civili a dei crimini penali? Come si fa a paragonare un falso in bilancio agli omicidi di quattro innocenti? Anch'io penso che certe figuracce siano perdonabili solo con le dimissioni ma sinceramente non me la sento di parteggiare per Battisti, che il nostro giornalista (?) descrive come "mascalzone, irresponsabile, insolente". Ma quale insolente! Chiamiamo le persone con il loro nome. Battisti è un criminale, un assassino, non certo uno che, poveretto, è dovuto fuggire all'estero e ha avuto la sfiga d'imbattersi in Fred Vargas, quella famosissima scrittrice di gialli francese, tanto che persino lui, folgorato da cotanta amicizia, ha cominciato a scrivere "gialli mediocri". Che noia 'sta vita "di velluto e cognac". Scommetto che Battisti farebbe di tutto pur di tornare in Italia ed essere incarcerato da noi, pur di non rompersi le palle in mezzo a 'sti stranieri sottosviluppati. Ma no! Che il nostro presidente del consiglio non ha chiesto l'estradizione a Lula con paroline dolci, con l'intonazione giusta...
Caro Battisti, se con i gialli non ti è andata, ti consiglio di provare con lo scambio epistolare, magari con la signora Sarkozy, che è tanto preoccupata per la tua sorte! Speriamo che il sole del Brasile non sia troppo forte e che tu non ti prenda un'insolazione. E scusami del "tu" ma sai, tra scrittori di gialli ci si intende.

P.S. Adesso che il presidente del Brasile è una donna, scommetto che Berlusconi ci ri-proverà.