giovedì 3 giugno 2010

Incomprensione

Ho fatto l’errore di leggere la prefazione di Oreste Del Buono all’opera di Andé Gide, premio Nobel nel 1947, prima di cominciare “La scuola delle mogli” nell’edizione Utet. Nella prefazione si pone l’accento sulla soffocante educazione cristiana ricevuta da Gide, rimasto orfano di padre a undici anni, da parte della pia madre e di un circolo di sante donne, che portò lo scrittore a fuggire in Africa e a intraprendere sia una carriera artistica polemica e trasgressiva sia un cammino sessuale ben lontano da scrupoli religiosi e morali. Si pone l’accento sulla modernità dell’autore, sui temi scomodi trattati nelle sue opere, sul suo impegno sociale e politico spesso fonte di attriti, sulla sua ambiguità letteraria e umana (rimaneva pur sempre imbevuto di puritanesimo, tanto da convincersi a prendere in sposa una cugina).
Mi aspettavo un romanzo coraggioso, dunque, e fuori dagli schemi. Gide era amico di Oscar Wilde, per intenderci. Invece mi sono ritrovata tra le mani un trattato sulle presunte virtù che una donna, attorno al 1929, dovrebbe possedere per essere una buona moglie: sottomissione, umiltà, spirito di sacrificio e, perché no, ignoranza. A parte il contenuto, che qualcuno potrebbe interpretare come una provocazione (con tanta fantasia), lo stile è pomposo, artefatto; il tono moralistico; le frasi stucchevoli. Provo a mettermi nei panni di un lettore dell’epoca e, a parte il tema dell’omosessualità femminile, trattato con le pinze, non vi trovo nulla di scandalosamente moderno. Se vogliamo fare un paragone, nel 1928 D. H. Lawrence scrisse “L’amante di Lady Chatterley” e non le paturnie di una moglie che va a morire al fronte perché non accetta di essersi disamorata del marito.
Ammetto, non ho capito nulla della grandezza di Gide. Forse dovrei insistere e leggermi qualcos’altro ma sentenze come “Secondo l’abate, l’importante non è tanto il dire quel che si pensa (ché spesso si pensa molto male) quanto quello che si dovrebbe pensare; giacché molto naturalmente e quasi senza volere, si finisce per pensare quello che si dice” mi terrorizzano.

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