martedì 2 novembre 2010

Gnam gnam

Detto, fatto.
Ho appena finito di digerire "I magnagati" di Virgilio Scapin, vicentinissimo.
Si tratta di una raccolta di aneddoti divisa in tre parti: le abitudini culinarie dei vicentini; i luoghi dove tali abitudini possono trovare soddisfazione; il piatto-re, ovvero il baccalà. Non dimentichiamo che Scapin era Gran Priore della Confraternita del baccalà.
La raccolta non ha la poesia de "I mangiatori di civette" ma è altrettanto interessante perché ci riporta in un'epoca, quella tra le due guerre mondiali, in cui chi voleva mangiare doveva arrabattarsi ma anche chi faceva l'oste non se la passava tanto meglio.
Chi apriva un'osteria, spesso, all'inizio offriva solo da bere e doveva accettare che i clienti si portassero i piatti da casa (chi era fortunato viaggiava con una bistecca dentro il cappotto). Alcuni osti si facevano pagare a fine mese e chiudevano un occhio se il cliente "perdeva" il conto.
Poi, quando l'attività decollava, si potevano offrire piatti locali come i bigoli al ragù, il fagiano, la faraona, le trippe, gli spiedi di uccelli, catturati senza tante preoccupazioni ecologiche, e l'immancabile baccalà.
Chi si faceva un nome poteva vedersi riempire il locale da nobili facoltosi o da troupe televisive, come quella de Il comissario Pepe.
Scapin ci dà un elenco di una ventina di ristoranti da visitare per poter dire di essere dei veri vicentini, alcuni dei quali in paesi che non ho mai sentito nominare, tipo Secula e Valdimolino. Ci racconta come tali ristoranti siano nati, come si siano ampliati, grazie al lavoro instancabile e alla intraprendenza delle mogli dei proprietari, e, qualche volta, come siano morti per il mutare delle abitudini dei vicentini.
Prima che muoia anche il ricordo, lasciamoci cullare dalla prosa nostalgica di Virgilio Scapin.

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