sabato 28 agosto 2010

Un classico

Mi domando perché abbia indugiato in tanti libri di fantascienza, anche cyberpunk, senza prima aver letto qualcosa di Philip K. Dick.
"Cronache del dopobomba" è un piacevolissimo romanzo che narra di uomini e donne scampati alla terza guerra mondiale che, all'epoca in cui è stato scritto, il 1964, era creduta imminente.
Il romanzo si ambienta in una zona poco conosciuta della California, West Marin, e descrive un'esistenza dura ma bucolica, una vita senza tecnologia ma tutto sommato accettabile. Non esistono più l'elettricità, l'acqua corrente e i mezzi di trasporto veloci tuttavia ricompaiono la solidarietà tra vicini di casa, il concetto di sacrificio per il bene comune e l'amore per gli animali. Un paio di protagonisti sono persino dei fungaioli, cosa che mi ha divertito moltissimo dato che sono stata per anni un'appassionata di funghi e come i protagonisti ne conosco i nomi latini.
I cattivi di turno sono due: il tradizionale scienziato pazzo e un focomelico. Il primo subisce una parabola discendente mentre il secondo fa una scalata al potere che si estende sino all'unico abitante di un razzo in orbita attorno alla Terra.
La trama è ben congegnata e sono sicura che possa piacere anche a chi non frequenta il genere. Non ci sono futuri lontani e incomprensibili, c'è solo la reazione psicologica di alcune persone al regresso della civiltà. La postfazione, poi, è un piccolo capolavoro. Dick si scusa per non aver azzeccato le previsioni: si duole, in pratica, che non sia scoppiata una guerra nucleare. Questo sì che vuol dire credere al proprio lavoro di scrittore!
*****

venerdì 27 agosto 2010

Poesia veneta

Su richiesta di un amico, che desidera rimanere anonimo, pubblico questa composizione in dialetto veneto. Per la vicinanza con la fonte, mi limiterò a riportare le quartine senza fare i miei soliti commenti.

El bidòn

Un giorno, in tuto el quartiere
l’è rivà el novo bidòn del seco
ma 'na vecia no gh’en vol savere:
nel so’ luamaro no la voe altrui beco.

No la fa la racolta diferensiata,
ansi, no la indovina un casoneto.
Ne l’umido no la mete la patata
smarsa ma un toco de plastica neto;

ne la carta buta le latine de bira
e ne lo sfalcio i butiglioni de vin.
La xè orba: dove tira, tira
basta che no la veda el vixin.

Co’ la storia del bidòn la x’è fusa.
“Mì no che no lo meto fora!”
la ga dito. “Sto trapeo x’è 'na scusa
par controlarne: el ga un cip sora.

Semo mati? Neanca fúsimo in Rusia!
Intanto i foresti ì pasa de note
e ì méscia el so sporco co 'a to spuxa.
Te te ritrovi a far a bote

con el comùn che manda 'na multa salata
a tì che no te ghe fato un’aca.
Me vuío far divegner mata?
Mì, el seco, lo mando in vaca!”

lunedì 16 agosto 2010

SF e religione

Ho letto due romanzi di fantascienza scritti nello stesso periodo: “Dune” nel 1965 e “Pianeta d’acqua” nel 1966, rispettivamente di Frank Herbert e di Jack Vance, americani.
I due romanzi sono molto diversi nelle tematiche, il primo tutto rivolto al futuro grazie alle proprietà del melange, una droga che permette di allungare la vita e vedere eventi che devono ancora accadere; il secondo rivolto al passato, visto che gli uomini, rifugiatisi su piccoli atolli privi di materie prime, non conoscono la tecnologia e non capiscono appieno il significato delle memorie lasciate dai loro antenati.
Anche la trama è molto diversa. In Dune il protagonista, un giovane duca, deve vedersela con innumerevoli nemici: con gli assassini di suo padre appartenenti alla nobile famiglia rivale, con l’imperatore stesso (che ha fomentato la faida), con i misteriosi abitanti del desertico pianeta Arrakis, con delle violente creature che distruggono il prezioso melange. In Pianeta d’acqua il protagonista, uno dei discendenti di duecento criminali evasi da un pianeta penitenziario e atterrati in un mondo dominato dalle acque, deve combattere “solamente” contro una creatura simile a un’aragosta gigante.
In tutti e due i romanzi, però, il filo conduttore è la religione.
In Dune essa ha il potere di donare speranza alle popolazioni del pianeta Arrakis, ovvero i Fremen, che attendono l’arrivo di un messia che li affranchi sia dalla sottomissione politica sia dall'asprezza del contesto naturale. La venuta di tale messia comporta effettivamente la realizzazione delle speranze.
Nel Pianeta d’acqua la religione è una sorta di arma di coercizione in mano a una élite che desidera conservare il potere mantenendo lo status quo, e cioè la sudditanza al Re Kragen, l’enorme e vorace creatura degli abissi. Ribellarsi significa creare tensioni sociali, scoppi di violenza e persino morte.
E’ interessante vedere come il linguaggio si adegui al contenuto mistico in entrambe le opere, ma soprattutto in Dune, tanto che i futuri sceneggiatori di Guerre Stellari e Avatar lo saccheggeranno a piene mani (a chi non viene in mente: “Che la Forza sia con te!”).
In una società materialista come la nostra riprendere in mano opere di cinquant’anni fa e scoprire come alcuni aspetti della nostra vita che sono passati in secondo piano, in questo caso la religione, fossero tanto centrali fa riflettere.
P.S. Dune, con i sui 12 milioni di copie vendute in tutto il mondo, è il primo romanzo di fantascienza di sempre.

lunedì 2 agosto 2010

Isole

Nell'isola di Robinson Crusoe ci si sente soli, in quella di Arturo incompresi, in quella de Il Conte di Montecristo nascosti, ne L'isola del tesoro ubriachi e ne L'isola della desolazione smarriti. Nell'isola-che-non-c'è talmente confusi da non saper distinguere la realtà dalla fantasia ma nell'isola di Lost, telefilm americano, perderete totalmente la bussola, e forse diventerete pazzi del tutto. L'isola de Il signore delle mosche vi sembrerà un parcogiochi in confronto! Ma andiamo con ordine...
Dopo essere sopravvissuti a una catastrofe aerea, vi ritrovate su un lembo di terra non segnato nelle carte nautiche; popolato da orsi polari nonostante il clima tropicale e infestato da una colonna di fumo nero che appare senza motivo e che, senza motivo, massacra chiunque incontri sulla sua strada. Vi imbattete in obsolete stazioni di ricerca sul magnetismo dell'isola, in un ex-velista che preme un pulsante ogni 108 minuti - altrimenti c'è la fine del mondo - in una biologa sadica che si diverte a torturarvi, in un gruppo di autoctoni che vi odia a morte e vi rapisce. C'è pure un altro gruppo di superstiti del vostro volo che non si fida di voi e vi sparacchia per sbaglio. E poi: un pluri-omicida che crede che l'isola abbia un'anima, un santone che sta in una capanna a far volare le sedie, un milionario che ha scoperto l'isola e che vuole tenerla tutta per sè, quindi cercherà di farvi fuori.
Mettiamo caso che siate arrivati sull'isola con problemi vostri, tipo che avete un cancro o che siete costretti su una sedia a rotelle, di fronte a una siffatta serie di disgrazie, non vi girerebbero un po'? Infatti sull'isola si diventa violenti, se non assassini. Persino le mansuete donne coreane, persa la fede, potrebbero tentare di sgozzarvi con un collo di bottiglia... Le normali regole di convivenza vengono sovvertite, non ci si parla, si diventa nemici di tutti, si tenta di sopraffarsi a vicenda.
Per noi che vi guardiamo è consolante. Dopo una giornata di duro lavoro e di pacifica routine, ci si può immedesimare in un naufrago senza freni inibitori e immaginare di essere libero di dare sfogo agli istinti più bassi. Infatti il telefilm ha avuto un successone. Sta andando in onda la quinta e, purtroppo, ultima stagione. Gli sceneggiatori non sapevano più quale disgrazia inventarsi. Dopo i salti temporali e la bomba atomica, state finalmente arrivando alla battaglia tra Dio e il Diavolo. Magari siete morti nell'impatto al suolo e tutto quello che avete visto finora è la nostra società che vi passa di fronte agli occhi.
Lo ammetto, sono caduta nella botola di Lost e mi sarà difficile riemergerne.
Qualcuno dica agli sceneggiatori che le sfortune non hanno mai fine!