martedì 28 settembre 2010

Festival della letteratura

Giornata calda ma non afosa. Scarpe da ginnastica, zainetto in spalla e cartina di Mantova sotto mano, mi dirigo verso il centro con due ore d'anticipo sul primo incontro a cui parteciperò. La città, che mi ricordavo come un mortuorio, è invasa di gente. Più tardi scoprirò che si tratta di ventimila persone. Trovo la biglietteria, ritiro la prenotazione per un autore che non ho mai sentito nominare (quello che avrei voluto vedere è esaurito) e cerco sulla carta il chiostro del Museo Diocesano.
Ho il tempo di fermarmi a mangiare qualcosa. Dio solo sa da dove sono spuntati tutti questi bar a Mantova!
Nel primo pomeriggio, in perfetto orario, si comincia. Il mio uomo, un irlandese trapiantato a New York, è un quarantacinquenne pelato, con sciarpa che fa molto scrittore impegnato, e occhio lucido. Durante l'intervista viene fuori che la sera prima è stato a cena con un altro autore americano invitato alla convention e che hanno bevuto come spugne. Per farci capire bene, intona la canzone irlandese che l'ha reso celebre tra le cameriere mantovane.
Si parla anche di argomenti seri, naturalmente. Di Torri Gemelle, di attacchi terroristici, di moschee, di "fuck that boy" che intende bruciare il corano. Le cinquantenni che partecipano all'incontro, la maggioranza, sono in visibilio. Alla fine faranno pure domande intelligenti e qualcuna oserà vantarsi di aver letto i suoi libri.
Vabbè, io non ne ho letto manco uno ma credo di avere il diritto di farmi autografare una copia di "I figli del buio". Mi metto in coda e aspetto paziente il mio turno, esercitandomi a fare lo spelling del mio - semplicissimo - nome. Giunta al cospetto di Colum McCann, vengo colta da timidezza e "canno" lo spelling alla grande. Lui fa una faccia a metà tra il post-sbornia e l'avant-spettacolo. Mio marito immortala a tradimento la mia défaillance linguistica e mi regala una delle foto più divertenti della mia vita.
Ho deciso: tornerò al festival anche l'anno prossimo.

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